Anoressia e Bulimia
Il territorio della anoressia e della bulimia è disseminato di apparenti contraddizioni che rispondono ad una logica distorta ma essenziale, capace di reggere con fermezza anni e anni della vita di una persona.
Lo stesso termine di anoressia trae in inganno e ci fa confrontare con un paradosso: nella sua origine greca definisce l´assenza di appetito, di fame, di desiderio mentre nella realtà quotidiana e clinica le persone che soffrono di questo disagio sono le più affamate e bisognose e avide e contemporaneamente le più terrorizzate da tutto questo su cui esercitano un controllo letteralmente all´ultimo sangue. Ed è altresì paradossale che l´ anoressia e la bulimia appaiano come fenomeni opposti – il rifiuto totale del cibo in un caso e la coazione a mangiare dell´altro – quando si tratta in realtà delle due facce della stessa medaglia, di due poli di una logica fondata su un unico principio: o tutto o niente.
Ed è paradossale che un sintomo come quello anoressico – bulimico sia così ingombrante, così totalizzante e tuttavia così distante da quegli aspetti della personalità da cui trae origine. Ma solo in questo modo, d´altra parte può svolgere la sua funzione, che è proprio quella di occupare tutta la mente, di riempire tutto lo spazio disponibile nel tentativo di anestetizzare altro, di cancellare le sensazioni, di azzerare i ricordi, di eliminare le emozioni, di annullare le passioni. Per questo è impossibile liberarsene, il sintomo diviene un supporto essenziale, una stampella che se anche costringe ad alcune, molte rinunce, dall´altro consente una certa autonomia, o per meglio dire qualcosa sentito come tale; l´apertura di uno spazio paradossale che si può creare solo in sottrazione da sè stessi, sul proprio corpo e che ha la funzione, che rappresenta, il tentativo inconsapevole di sottrarsi alle richieste dell´altro –da –sé, delle sue aspettative, dei suoi bisogni, della sua storia.
Come spesso dicono le persone, che sono portatrici di questo disagio in terapia: “la malattia è l´ unica cosa veramente mia…” , l´unico spazio in cui il giudizio dell´altro non vincola, non suscita sensi di colpa o di vergogna, l´unico tempo in cui lo sguardo dell´ altro non conta, ma conta solo quello nello specchio che dolorosamente ma inconsapevolmente si confonde per proprio.
Il disturbo anoressico – bulimico è un tentativo di fare ordine dentro e intorno a sé, è un estremo tentativo di controllo, quel controllo così “ben visto” dall´altro durante tutta l´infanzia, così rinforzato e spacciato per forza, determinazione, spina dorsale ed è proprio questo che la famiglia in terapia fatica a pensare, che la gestione della malattia in realtà non si differenzia affatto dalle “regole” insegnate, richieste ed apprezzate come spesso si sentono elencare dalle donne che si incontrano : responsabilità, costanza, coerenza, attività, carattere, disponibilità, controllo, determinazione, autonomia, risultati, obbedienza sono tutti punti fermi della gestione del disturbo aprendo lo sguardo sul paradosso estremo: il disturbo anoressico – bulimico come tentativo estremo di essere vista, per rendere visibile la sua disperata fame di comprensione, di ascolto, di tenerezza tuttavia realizzata secondo le “regole di famiglia”, dove il corpo rischia la morte per vivere e dove soffrire di anoressia è contemporaneamente meno doloroso che vivere, quando vivere significa il doversi confrontare con un dolore non controllabile che arriva da dentro di sé, un dolore di cui non si sa niente e proprio per questo così spaventoso, un dolore antico legato al rapporto con l´ altro.
Articolo scritto da:
Dott.ssa Paola Sacchetti Rossi
Psicologa Psicoterapeuta
Psicoanalista SPI