Il trauma e i suoi livelli di sviluppo
Il trauma trova la sua essenza nella esperienza di impotenza.
Questo significa che non necessariamente un evento oggettivamente significativo sarà per forza traumatico; così come un evento oggettivamente non significativo ma soggettivamente vissuto all’insegna della impotenza, può assumere tutte le valenze del trauma.
Questa precisazione è fondamentale per sfatare il luogo comune che necessariamente debba essere un evento catastrofico da tutti riconosciuto come tale.
“Il lavoro più importante del cervello è assicurare la nostra sopravvivenza, anche nelle condizioni più avverse. Tutto il resto è secondario.
Il nostro cervello razionale, cognitivo è in realtà, la parte più giovane dell’encefalo e occupa soltanto il 30% circa dello spazio interno al nostro cranio.
Il cervello razionale ha a che fare principalmente col mondo esterno: è deputato. A capire come funzionano cose e persone, come realizzare i nostri obiettivi, come gestire il tempo e dare una processuali tra alle azioni. Al di sotto del cervello razionale ve ne sono altri due, evolutivamente più antichi e, in qualche misura separati, responsabili di tutto il resto: la gestione e il monitoraggio, momento per momento, della fisiologia del nostro corpo, l’individuazione del senso di agio e di sicurezza, delle situazioni di pericolo, dello stato di fame e di stanchezza, del desiderio, della nostalgia, dell’eccitazione, del piace, del dolore.
Il cervello si evolve dal basso verso l’alto, sviluppandosi livello per livello, in ogni bambino nel grembo materno, così come nel corso della evoluzione. La parte più primitiva, già attiva al momento della nascita, è la parte antica del cervello animale, chiamata spesso cervello rettiliano. Si trova nel tronco encefalico, appena al di sotto del punto in cui il midollo spinale entra nel cranio. È responsabile di tutte le attività che i bambini appena nati possono fare: mangiare, dormire, svegliarsi, piangere, respirare; percepire la temperatura, la fame, l’umidità e il dolore; liberare il corpo dalle tossine, urinando e defecando.
Proprio al di sopra del cervello rettiliano, c’è il sistema lombi o, noto come cervello mammaliano. Lo sviluppo di questa area del cervello inizia, effettivamente dopo la nascita: è il luogo delle emozioni, il sistema di controllo del pericolo, il giudice di ciò che è piacevole o spaventoso, l’arbitro di ciò che è determinante o meno per la sopravvivenza. È anche un posto di comando centrale per fronteggiare le sfide insite nella vita, all’interno della nostra rete sociale complessa. Il sistema limbico si plasma con l’esperienza, in collaborazione con il corredo genetico del bambino e il temperamento innato. Qualsiasi cosa accade a un bambino, contribuisce alla mappa emotiva e percettiva del mondo, costruita dal suo cervello in via di sviluppo. Se ci si sente al sicuro e amati, il cervello si specializza nella esplorazione, nel gioco e nella cooperazione; se si è spaventati o indesiderati, il cervello diventerà esperto nella gestione dei sentimenti di paura e di abbandono.
Il cervello rettiliano e il sistema limbico, costituiscono insieme quello che viene chiamato cervello emotivo. Il cervello emotivo è il cuore del sistema nervoso centrale e il suo compito fondamentale è badare al nostro benessere. Il cervello emotivo avvia piani di fuga preprogrammati di fronte al pericolo, come la risposta di attacco/fuga. Queste reazioni muscolari e fisiologiche sono automatiche, messe in moto senza alcun pensiero o pianificazione da parte nostra, lasciando la nostra coscienza e le nostre capita razionali in sospeso, potendone recuperare l’utilizzo dopo, spesso molto dopo, che il pericolo si è estinto.
Infine arriviamo allo strato superiore del cervello, la neocorteccia. Nel secondo anno di vita i lobi frontali, che costituiscono la maggior parte della neocorteccia, cominciano rapidamente a svilupparsi, rendendoci unici all’interno del regno animale: ci permettono cioè di sviluppare il linguaggio e il pensiero astratto, nonché di assorbire e integrare una grande quantità di informazioni, attribuendo alle stesse un senso. I lobi frontali consentono di progettare, riflettere e immaginare. Ci aiutano a prevedere le conseguenze di una azione; ci consentono la facoltà di scegliere e sono alla base della nostra creatività.
L’essere umano e il suo sistema nervoso che si sviluppa sulla base delle esperienze di relazione primarie e successive, decodifica ad ogni nuovo incontro, in millesimi di secondo, una quantità straordinaria di informazioni (visive, uditive, olfattive e ci estetiche) per stabilire primariamente se l’altro sia amico o nemico: qualcuno di cui ci si può fidare oppure che è meglio tenere a distanza di sicurezza.
Il primo livello dei bisogni umani, legati alla mente biologica, è il bisogno di SICUREZZA.
Quando il bambino (e l’adulto poi) si trova nella situazione di sentirsi relazionalmente al sicuro, la porzione di sistema nervoso autonomo che sarà attivato sarà la porzione ventro- vagale. Il bambino andrà verso l’altro a braccia aperte e fiducioso. La sensazione di sicurezza deve soddisfare due bisogni primari: il rispetto dei confini fisici e il rispetto di confini psichici. La rottura di questi confini (corporei e mentali) sarà vissuta come invasione e, come fanno gli animali quando si entra nel loro territorio, determinerà una reazione.
Nell’essere umano, il primo livello di difesa è il NO.
Se qualcuno rompe il confine ma alla reazione “NO” rispetta la risposta e fa un passo indietro, allora il senso di sicurezza permane e le emozioni rimangono “tranquille”.
Se invece l’altro non rispetta la difesa, allora il sistema ventro-vagale stacca, il sistema percepisce pericolo e minaccia, l’ansia come segnale di percepito pericolo si attiva, si attiva la porzione di sistema nervoso autonomo simpatico e l’arousal (cioè il livello di attivazione del sistema) comincia a salire.
Tutto l’organismo si attiva, la adrenalina entra nel sangue e porta i muscoli in stato di tensione per favorire il secondo livello di difesa: l’ATTACCO/FUGA.
La temperatura corporea si alza, la frequenza cardiaca anche, la respirazione si fa più frequente, la attenzione diventa ipervigile.
Se l’avvicinamento indesiderato continua, allora le possibilità sono due: o l’attacco, come nel caso del leone che vede nella forza fisica il suo punto di forza come difesa; o la fuga, come la gazzella che vede nella velocità il suo punto di forza come difesa.
(Tuttavia, per i bambini è facilmente comprensibile come sia l’una che l’altra siano non utilizzabili, soprattutto con un adulto).
Possono appartenere a questo livello comportamenti di fuga, di iperattività, di attacchi di ansia, di crisi di rabbia,condotte compulsive.
A questo punto, quando il livello di attivazione raggiunge l’apice ed anche questo secondo livello di difese non funziona per ripristinare il senso di sicurezza, per salvaguardare la sopravvivenza, in uno stato di soverchiamento completo e di impotenza (lo si ritrova anche in persone imprigionate fisicamente), il sistema collassa.
Si è visto osservando gli animali, che il predatore è maggiormente sensibile al movimento, così come ultimo livello di difesa per la sopravvivenza, l’animale preda entra in uno stato definito freezing. La porzione deputata alla iper attivazione stacca e attacca una porzione del sistema nervoso autonomo detto parasimpatico, deputato a far precipitare gli indici fisiologici di respirazione, temperatura, battito cardiaco, pressione arteriosa. La preda sembra morta agli occhi del predatore e in questo modo, la natura cerca di salvaguardare la sopravvivenza, sfruttando la minor desiderabilità della preda se “già morta”.
Questi studi hanno aperto ad una maggiore comprensione degli stati detti di immobilita tonica, dove persona non riesce a muoversi e a difendersi, perché già in questo stato automatico a carico della mente biologica.
In alcuni casi si arriva al collasso vero e proprio e alla perdita di coscienza (che tenta in questo modo di salvaguardar non solo il coprono ma anche la mente, “spegnendo” il sistema.
Possono appartenere a questo livello vissuti di apatia, abulia, occhi persi nel vuoto, immobilità, paralisi, anestesia (non sentire più niente), depressione.
L’esperienza di totale impotenza, che quindi determina il trauma, e il collasso del sistema a protezione ultima della vita, determina anche la sospensione temporanea di aree cerebrali, come quelle deputate alla memoria dell’evento, alla elaborazione dello stesso, al senso del tempo, alla sintesi dell’esperienza; in altre parole il vissuto traumatico non ha possibilità di diventare passato, ma rimane presente.
Questo aiuta a capire perché, anche a distanza di anni, il fallimento della possibilità di dire “no”, il fallimento della risposta di attacco/fuga, e spesso il precipitare in stati di apatia o immobilità, continuino ad essere pesantissimi prezzi da pagare per chi ha vissuto esperienze traumatiche e non è stato aiutato a poterle delicatamente e lentamente elaborare, rispettando i tempi psichici necessari e dei processi di lutto per quanto, purtroppo accaduto.
Bibliografia:
- Van Der Kolk, Il corpo accusa il colpo, Raffaello Cortina, Milano, 2015.
- Benini, I cinque passi, Ed. Pendragon, Bologna, 2016.
- Porges, La teoria polivagale, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2014.
Articolo scritto da:
Dott.ssa Paola Sacchetti Rossi
Psicologa Psicoterapeuta
Psicoanalista SPI