25 NOVEMBRE – Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
Si parla, giustamente con sdegno, dei tanti crimini violenti commessi sulle donne.
E usiamo apposta sulle donne, perché la violenza ha lo scopo di imporsi e distruggere un oggetto, qualcosa quindi di inanimato, che di per sé dovrebbe portare quindi a conseguenze minime.
Gli oggetti di oggi non sono riparabili, vengono progettati “a scadenza”: sostituibili, ricomprabili, cambiabili, consumabili, divorabili.
Soprattutto gli oggetti sono di proprietà di qualcuno.
Se una sedia è mia, ho il diritto di metterla dove voglio e lì deve stare; posso usarla, bruciarla, romperla, farne insomma quello che voglio, legittimato dal pieno diritto di esercitare qualunque scelta e qualunque azione.
D’altronde la sedia non ne soffrirà, non è viva, ma inumana, per questo la chiamiamo “oggetto”.
La sedia non pensa, non sente, non respira, non piange e non ride, non si muove, non è capace di intendere e volere, non è un soggetto.
E in quanto non-soggetto, non appartiene alla scala valoriale umana di legittima convivenza: non ci sollecita premure come il rispetto, la dignità, l’identità, la solidarietà, l’ascolto, la sollecitudine, il sostegno, e men che meno l’emancipazione, cioè il diritto di fare delle scelte autonome, con cui potremmo anche non essere d’accordo ma che nulla cambia nel suo diritto di farle, se sono nella direzione di accrescere il suo benessere e la sua evoluzione, secondo la sua personale valutazione, nei cambiamenti di prospettiva che accompagnano il passare del tempo.
La sedia sta dove viene messa, e lì ci sia aspetta di ritrovarla, sempre, immobile e a disposizione.
Affinché qualcuno ci si possa sedere sopra, con tutti i suoi bisogni, il suo peso, le sue pretese, i suoi capricci.
Qualcuno dunque schiaccia e qualcuno viene schiacciato.
Questa è la matrice della violenza.
Ma questa è anche la matrice dell’amore incondizionato, quello senza limiti.
Il tipo di amore che necessita ad un bambino piccolo ma che poi andrebbe ridimensionato progressivamente per educarlo alla presa di coscienza che anche l’altro è una persona (e non una sedia), avviandolo appunto alla scala di valori della con-vivenza, cioè della capacità di vivere con l’altro, cioè alla polis, cioè al diritto e dovere di appartenere al mondo, nel rispetto di sé stessi e dell’altro e viceversa.
Realizzare la forma politica più difficile: la democrazia, dove il codice delle leggi, cioè il codice dei limiti che stabilisce cosa puoi fare e cosa non puoi fare, è uguale per tutti e il suffragio è universale.
La logica della sedia ha invece a che fare con la tirannia, con il sopruso, con l’arroganza di sentirsi migliori di qualcun altro, superiori ad un inferiore e quindi in diritto ad avere solo diritti, definendo quindi l’essenza di ogni razzismo.
Così, possiamo arrivare a pensare che se la logica della sedia, esserci sempre ed essere a disposizione, decodifica l’amore, potrebbe portare qualcuno a sentirsi in colpa ed anche a provare vergogna se non coincide: allora vorrà dire che non ti amo.
Ma io ti amo, quindi devo esserci sempre ed essere a disposizione; anzi più ci riesco e più ti dimostro l’amore, che ci tengo a te, che soddisfo ogni tuo desiderio, che non mi muovo, che sopporto l’insopportabile, senza limiti, senza un no, senza un “esisto anche io”.
Tremo quando sento che le vittime di violenza vengono descritte come “sempre buone, sempre sorridenti, sempre a prendersi cura dell’altro, sempre altruiste” … “che brava persona…”.
Dando la conferma che la sedia riceve complimenti e apprezzamenti quando si comporta da tale, rispecchiamento che la schiaccia ancora di più in quella posizione, alimentando un narcisismo sacrificale che nulla ha a che fare con l’autostima.
Oggetti che si prendono cura, oggetti sessuali, oggetti che con un clic devono realizzare le altrui aspettative di essere amati (e accontentati) senza limiti e condizioni.
Aldilà delle diatribe di superfice, che vedono il riscatto della parità di genere nell’uso di parole femminine, “architetta, ingegnera” ecc, la questione del femminile si radica nel potere contrapposto che vuole che il proprio valore personale e la propria identità e la propria bellezza (perché il corpo delle donne c’entra sempre) non siano tradotte da una autostima personale, da un riconoscimento tra sé e sé, da una propria consapevolezza, ma che arrivino sempre dall’esterno, come per i bambini (evidente sui social, sui “mi piace” e sul numero di visualizzazioni o di followers).
Ricordati: è l’altro che ti dice quanto vali, chi sei e quanto sei bella; quindi devi fare di tutto per piacergli.
Per concludere (o per incominciare), la questione della violenza sulle donne, non riguarda solo la questione degli uomini sulle donne, ma prepotentemente anche delle donne sulle donne e delle donne su loro stesse, e non parte dalle donne, parte dalle bambine; e le radici sono come quelle della gramigna: tiri, tiri e mai avresti pensato, fossero così lunghe.